lunedì 4 agosto 2008

La civetta di Patara

Una sera, a Patara, seduti sotto il pergolato della pensione da Jimmy, stavamo gustando il nostro pesce ai ferri in compagnia di due giovani turisti italiani che raccontavano del loro viaggio in Turchia. Avevano percorso migliaia di chilometri: dalle coste del Mar Nero erano andati in Cappadocia e poi ancora più lontano fino ai confini orientali della Turchia. Volevano esplorare la terra raccontata nei libri di Pamuk. Noi eravamo attenti perché quello era un viaggio che prima o poi avremmo voluto fare anche noi. Loro a Patara ci erano finiti quasi per caso, provenendo da Kaş dove avevano preso alloggio, ma poi avevano scoperto la spiaggia magnifica, ben 14 km di sabbia e dune, il sito archeologico ricchissimo e oggi ancor più ricco per il ritrovamento dell'antico faro, pare uno dei primi della storia antica, e tutto questo li aveva fatto decidere di trasferirsi lì per alcuni giorni, prima del rientro in Italia, e lasciare l'affollato e turistico, seppur delizioso, villaggio di Kaş.

Il nostro lieto conversare fu interrotto da un rumore un po' insolito che in un primo momento non riuscimmo a decifrare, e guardando verso l'alto, sulla strada, illuminata dalla luna, che quella sera era piena, ci accorgemmo di una civetta che nervosamente volava quasi radente il terreno. Strano, pensammo, gli animali conoscono bene l'economia, non fanno mai nulla senza un motivo preciso. Forse era spaventata da qualcosa, o disorientata. Il suo volo, in quell'occasione non silenzioso com'è invece tipico degli uccelli notturni, tracciava una traiettoria, sempre la stessa, che andava giù sulla strada e poi in alto sul filo della luce poco lontano. Guardammo meglio e ci accorgemmo che accanto ad un muro di pietra, proprio sul bordo della strada, l'unica che dal paese conduce alla spiaggia, se ne stava spaventato un piccolo di civetta, una pallina di piume tutta becco e zampe, tremante per lo spavento. L'istinto fu quello di raccoglierla ma Jimmy ci fermò spiegandoci che se l'avessimo presa in mano la madre l'avrebbe rifiutata per sempre.

Cosa si poteva fare? Comprendemmo ben presto che la madre con il suo volo che a noi pareva senza senso, stava dando indicazioni precise al suo piccolo: “Stai riparato e cerca di salire il muricciolo, lì sopra c'è un giardino e se starai nascosto sotto una pianta ti potrò portare da mangiare e sarai salvo”, o almeno questo fu quello che immaginammo. La piccola civetta pareva seguire le istruzioni della madre e con grande fatica cercava di risalire il muro. Ci mettemmo allora sul bordo della strada avvisando i rari automobilisti di rallentare e facilitare così l'impresa del piccolo.

Dopo diversi tentativi andati a vuoto, finalmente con un salto la piccola civetta riuscì a guadagnare il giardino soprastante la strada e noi tutti tirammo un respito di sollievo. E' salva! Anche la madre sembrava aver trovato finalmente un po' di pace, i suoi grandi occhi, illuminati dalla luce della luna, ci fissavano ormai senza paura.

Ritornammo ai nostri tavoli, le conversazioni ripresero allegre, eravamo tutti soddisfatti di aver contribuito, almeno per una piccola parte, alla salvezzza del cucciolo di civetta.

Dopo nemmeno 10 minuti dalla strada sentimmo un trambusto, dall'oscurità uscì fuori un uomo che gridava e dall'alto del muro vedemmo cadere un serpente, l'uomo iniziò a batterlo con un bastone fino ad ucciderlo, lo prese e lo gettò via. Poco più in là, non ce ne accorgemmo subito, vedemmo qualcosa che nell'oscurità era difficile distinguere, ci avvicinammo e quando fummo a poca distanza ci rendemmo conto che si trattava della piccola civetta, ormai morta. Rimanemmo in silenzio: il giardino che doveva essere il suo rifugio si era rivelato una trappola, la piccola era diventata facile preda di chi forse, chissà da quanto tempo, la osservava aspettando il momento giusto per catturarla e ucciderla.

La madre se ne stava immobile sul filo della luce, è difficile dire se le civette hanno un'espressione, ma a noi, quello sguardo stralunato ci parve pieno di dolore.

Per tutta la notte la civetta è rimasta su quel filo a guardare il piccolo e per tutta la notte, né io né George siamo riusciti a dormire, dalla finestra della nostra camera sentivamo il suo canto disperato.

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