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mercoledì 27 novembre 2019
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martedì 14 aprile 2009
Cairns 3 Dicembre
Mentre aspetto che si svegli leggo qualche annotazione su Cairns. Terra degli aborigeni della tribù Irukandji (che significa letteralmente “dal Nord”). Scoperta nel 1770 dallo zelante capitano Cook, e successivamente meta di continue esplorazioni...
Chiediamo se si può evitare questa parte della visita ma la giovane donna alla reception con la gentilezza tipica anglosassone ci risponde “Mi dispiace, purtroppo non e’ possibile”. Solo gli anglosassoni riescono a dire di no con la stessa grazia e soavità di chi dice: “certo che sì, non ti preoccupare”.
Paceful Dove
Le escursioni pret-à-porter sono così: prendere o lasciare.
Le radici che affondano nelle paludi salmastre sono avviluppate le une alle altre rendendo il paesaggio assolutamente unico. Mentre la barca scivola lungo l’estuario, ripenso alle foglie sacrificali, alla natura che silenziosamente provvede a se’ stessa. Penso che se questo sistema di purificazione dell’acqua si potesse ricreare sarebbe una soluzione per tutti I Paesi afflitti da tremende siccità.
Dopo un’ora e mezza circa lasciamo questa laboriosa foresta di mangrovie e ci dirigiamo verso la Crocodrile Farm. Lo spettacolo e’ choccante. La guida, una sorta di Cocodrile Dundee in XXIV ci spiega che in questa Farm i coccodrilli vengono allevati per la loro pelle, la carne, e il sangue, quest’ultimo impiegato dalle aziende farmaceutiche che si occupano di ricerca contro il cancro. Sui primi 2 impieghi non ho dubbi, sul terzo penso si tratti di uno dei tanti modi per addolcire la pillola, e mascherare una brutalità in qualcosa di moralmente buono e giusto.
E’ incredibile pensare che oggi ci sia ancora qualcuno che acquista scarpe, portafogli, borse, cinture di coccodrillo, o che indossi pellicce di visone, martora, persiano, castoro, lapin, scimmia, leopardo, tigre, foca, lupo etc…
Cairns
E’ piu’ forte di loro conoscere la provenienza dell’interlocutore. E forse non e’ difficile capire il perché. In una terra dove le radici affondano per lo piu’ dall’altra parte dell’emisfero, la curiosità di trovare qualcosa in comune con gli altri e’ piu’ forte di ogni altra cosa (da un censimento del 2006 la popolazione australiana e’ così distribuita: australiani (37,13%), inglesi (31,65%), irlandesi (9,08%), scozzesi (7,56%), italiani (4,29%), tedeschi (4,09%), cinesi (3,37%), greci (1,84%), olandesi (1,56%), indiani (1,18%), libanesi (0,92%), vietnamiti (0,87%), polacchi (0,82%), neozelandesi (0,81%), filippini (0,81%), maltesi (0,77%), croati (0,59%), aborigeni australiani (0,58%), gallesi (0,57%), francesi (0,5%), serbi (0,48%), maori (0,47%), spagnoli (0,42%), macedoni (0,42%), sudafricani (0,4%), cingalesi (0,37%), ungheresi (0,3%), russi (0,3%), turchi (0,3%), americani (0,28%)).
La maggior parte degli australiani e’ di origine anglosassone: inglesi, irlandesi, scozzesi. Tutto parla ancora delle loro origini: gesti, colore degli occhi, atteggiamenti, espressioni, la stessa lingua rimasta per certi versi ancora arcaica, ricca di modi di dire soppiantati nella nuova Inghilterra da slang irriconoscibili, o del tutto dimenticati. In Australia e’ molto comune sentirsi dire “Pardon” ormai caduto in disuso e sostituito dall’onnipresente “Sorry”. E ancora, per le strade di Melbourne, Adelaide, Sydney si captano conversazioni colorite da un forte accento cockney ormai patrimonio del solo East End londinese.
L’Australia e’ una terra che ha accolto gente da ogni dove ma questa e’ storia nota. La macrostoria, quella delle grandi migrazioni e’ ormai un patrimonio comune. In molte famiglie della vecchia Europa c’e’ almeno un lontano parente che ad un certo punto si e’ imbarcato per cercare fortuna in quella parte di mondo così al limite che perfino nel mappamondo si fatica a trovare.
Con lo sguardo fisso sul panorama che si apriva sotto ai miei occhi ho visto finalmente l’Oceano Pacifico e delle formazioni di nuvole molto basse, a filo dell’orizzonte, che per uno strano effetto di luce, cielo e mare creavano insoliti miraggi mai visti prima: nuvole che si riflettono sul mare e poi si sciolgono per riemergere con nuove forme dal mare. Sarà stata la stanchezza, ma ad un certo punto non riuscivo piu’ a capire se mi trovavo immersa nell’azzurro del cielo o nel blu profondo del mare. Le nuvole in Australia sono così meravigliose che possono diventare un’ossessione, e non somigliano a nulla di conosciuto.
All’atterraggio, il nostro compagno di viaggio, con un sospiro di sollievo ha sussurrato tra se’ e se’: “We made it again”. George ed io lo abbiamo guardato stralunati.
Cairns e’ una città turistica che deve la sua fortuna alla vicinanza, relativa (come tutto in Australia), alla Grande Barriera Corallina. A Cairns, l’Esplanade, la lunga passeggiata lungo il mare, unisce i pochi chilometri che separano la periferia al centro cittadino. Strade larghe, semideserte, case ad un piano. In pochi metri un’abbondanza di uccelli mai visti prima: Sharp-tailed Sandpiper, Australian Pelican, Royal Spoonbill, Galah, Cokatoos, White Herron.
E poi gli Eucalipti che in questo viaggio impareremo a conoscere meglio, le acacie, alberi dai fiori rossi e carnosi, lo stupore ad ogni passo per un tripudio di colori e profumi totalmente sconosciuti a noi. Persino in una città “addomesticata” come Cairns si può assaporare l’inebriante potente bellezza della Natura.
Lungo le strade di Cairns si incontrano molti Aborigeni. Nei due viaggi precedenti l’incontro con loro e’ stato superficiale e del tutto casuale. Tra noi e loro c’e’ sempre una distanza incolmabile. L’effetto che ho provato e’ stato di ritornare indietro di milioni di anni. I loro occhi, gli sguardi, i gesti, il modo di camminare appartengono a qualcosa che noi non siamo piu’ da molto tempo. Il faccia a faccia con loro e’ un precipitare all’indietro, alle nostre origini, e forse questo a qualcuno può far paura, o provocare disagio, se non addirittura fastidio.
Io ne sono affascinata, vorrei poter entrare in contatto con loro ma so che questo e’ quasi impossibile. La loro ostilità nei nostri confronti e’ il risultato dell’istinto di sopraffazione, la sete di potere, di una parte di umanità, i cosiddetti “bianchi”, che ha la presunzione di sentirsi al di sopra di tutto e di tutti. Il pericolo che questa superiorità venga in qualche modo smentita da qualcuno che e’ altro da loro, scatena un odio feroce che non lascia scampo.
E gli Aborigeni non hanno scampo da molto tempo. In una terra che era la loro rappresentano appena il 2% della popolazione e di questo 2%, otto su dieci sono dei disperati, schiavi dell’alcool che gli abbiamo fatto conoscere noi, bianchi.
Chi non e’ morto e’ come se lo fosse: zombies che vagano senza meta in città che sono prigioni, costretti, per sopravvivere, a cedere alle lusinghe e ai luccicori della nostra cosiddetta modernità e civiltà. Si salva chi vive ancora nell’outback, libero, terra con terra, cielo con cielo, acqua con acqua, in quell’eterno walkabout attraverso le invisibili vie dei sogni.
Appunto sul mio taccuino: Aborigeni
E’ arrivata la sera del primo giorno, cerchiamo un ristorante e veniamo attirati da un locale molto semplice con le luci soffuse. Leggiamo il menù.
Bush Menù: Emu, Kangaroo, Croc
Great Reef Barrier menù: Shark, Barramundi
Ci accontentiamo di un’insalata e di una 4X ghiacciata, la birra del Quuensland, e poi a dormire, siamo completamente jetlagged!
venerdì 10 aprile 2009
2 DICEMBRE 2008 (TOWARDS CAIRNS)
Siamo arrivati! Il lungo viaggio, nonostante tutto, e’ andato molto meglio di quello che ci aspettavamo.
La prima tratta, la piu’ lunga (12 ore) da Londra a Singapore l’abbiamo fatta in compagnia di John, un curioso cinquantino di Perth (Western Australia) che ad un certo punto ha deciso di cambiare totalmente stile di vita dedicandosi alla produzione di vino.
Well done!
Tra una dormita e l’altra abbiamo conversato piacevolmente, ingannando così la clessidra che in aereo sembra scandire il tempo al rallentatore. John ha girato tutto il mondo e un suo cugino, un coreografo berlinese di 84 anni –non ricordo esattamente il contesto nel quale e’ emerso il cugino- a differenza di lui, il mondo continua a girarlo con ostinazione. E’ divertente, dai suoi occhialini di metallo rotondi sprizzano lampi d’intelligenza ed ironia, i suoi modi sono gentili e misurati, riesce a mantenere un sottile distacco come se tutto quello che gli sta intorno non lo riguardasse.
Dai discorsi inframmezzati da silenzi e omissioni abbiamo capito che le vite precedenti di John devono essere state avventurose e molto complicate. Ora però l’impressione e’ di un uomo sereno e pienamente appagato, e come sempre accade a chi ha scoperto il Nirvana, ben disposto ad offrire, disinteressati e saggi consigli. Stare tra i suoi vigneti di Chardonnay, Cabernet Sauvignon e Shiraz lo fa sentire bene, completamente riappacificato. Ci ha confessato di sperare che i suoi figli, prima o poi, seguano la strada delle vigne che a suo dire, e’ la chiave della felicità.
Alla nostra domanda se a Londra c’era stato per affari, ci ha risposto che i suoi anziani genitori vivono a Cambridge e l’unico viaggio che e’ disposto a compiere una volta all’anno e’ per andarli a trovare.
Noi seppur stanchi, ci sentiamo abbastanza rilassati e tranquilli, le ansie della partenza, lo stress delle lunghe attese in aeroporto, la paura delle interminabili ore d’aereo sono svanite quasi del tutto anche se ci attendono almeno altre sette ore di volo. Al Chanchi salutiamo John, lui prenderà il volo per Perth, noi invece siamo diretti a Cairns, nel Queensalnd, da dove iniziera’ il nostro terzo viaggio nel Downunder.
Fino a Singapore abbiamo inseguito il buio, un viaggio durato 2 notti, e la strana sensazione di aver perso qualche cosa lungo la strada.
Di notte, nelle lunghe ore d’insonnia e di noia, di tanto in tanto, come monaci in cella percorriamo i pochi metri di corridoio a disposizione guardando fuori del finestrino di coda cercando di cogliere qualcosa che ci facesse sperare di non essere immersi in un grande e profondo buio. Dopo ore di speranze infrante finalmente un segno: l’Uluru, il monolito sacro agli Aborigeni, icona dell’Australia, illuminato in tutto il suo perimetro da luci che ce lo hanno fatto sembrare ancora piu’ ieratico e misterioso. Guardando giù dall’angusto osservatorio, con il naso appiccicato al vetro mi e’ venuta naturale l’associazione con “Le Petit Prince”. Quel contorno illuminato, infatti, somiglia molto al disegno fatto dal protagonista raffigurante il boa che ha ingoiato l’elefante e che, immancabilmente gli adulti scambiavano per un cappello.
(tratto da: Le Petit Prince di Antoine de Saint-Exupery)
A colpo d’occhio posso distinguere la Cina dall’Arizona, e se uno si perde nella notte, questa sapienza e’ di grande aiuto.
Ho conosciuto molte persone importanti nella mia vita, ho vissuto a lungo in mezzo ai grandi. Li ho conosciuti intimamente, li ho osservati proprio da vicino. Ma l’opinione che avevo di loro non e’ molto migliorata. Quando ne incontravo uno che mi sembrava di mente aperta, tentavo l’esperimento del mio disegno numero uno, che ho sempre conservato. Cercavo di capire così se era veramente una persona comprensiva. Ma, chiunque fosse, uomo o donna, mi rispondeva: “E’ un cappello”. E allora non parlavo di boa, di foreste primitive, di stelle. Mi abbassavo al suo livello. Gli parlavo di bridge, di golf, di politica, di cravatte. E lui era tutto soddisfatto di avere incontrato un uomo tanto sensibile.”
L’Australia in un certo senso, e cercherò di spiegarlo piu’ avanti, e’ un boa che ha ingoiato unelefante. “L’essenziale e’ invisibile agli occhi…”, una sorta di mantra che mi accompagnera’ lungo tutto questo viaggio.
I've been looking for you
Searching for something new
You keep my feet on the ground
As you make my world turn around
Keep sending me signals
Don't let me fall by the way
And while the world Is turning right
You show me the way
To your heart ’Cause when you call my name
It's like the world Is turning right...
Burrkuwurrkumi Raywa raywa raywuyuwa Wirrkul
madayin Gaywagaywa gaywagaywa Ditjuman nyaku
gayawak Raliya dhambal ngayili
And while the world Is turning right
You show me the way
To your heart
'Cause when you call my name
It's like the world Is turning right...
Come on show me the way
There is no turning back
It's turning right
Well it's turning right...
I've been looking for you
Searching for something new
You keep my feet on the ground
As you make my world turn around
Keep sending me signals
Don't let me fall by the way
And while the world Is turning right
You show me the way
To your heart 'Cause when you call my name
It's like the world Is turning right
(Yothu Yindi - World Turning)
E poi, finalmente e’ arrivata l’alba, i primi raggi di luce hanno lambito in tutta la sua grandezza il deserto australiano che e’ immenso e ancora di piu’ se visto da oltre 10.000 metri di altezza. L’effetto delle rocce rosse modellate dal vento e’ stupefacente, apre ad un mondo di fantasia, strani bestiari si compongono e scompongono in un gioco che somiglia a quello delle nuvole nel cielo.
Queste visioni mi spingono ancora una volta a rispolverare le mie passate letture e ripenso al libro di Chatwin “La via dei canti” e appunto sul mio taccuino: “rileggere”.
L’arrivo a Brisbane e’ traumatico: la stanchezza del lungo viaggio, la tensione, il caldo umido ci travolgono. Dopo le formalità burocratiche e il ritiro dei bagagli siamo riusciti a prendere al volo un trenino diretto ai voli domestici.
Destinazione Cairns.
Siamo ritornati!
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