martedì 15 luglio 2008

In viaggio con il parapendio in Turchia

L'IMPOSSIBILE VOLO




Volare, e chi non ci ha mai pensato almeno una volta? Riuscire a volare come gli uccelli nel silenzio, nel vento. Guardare il mondo dall'alto.

Certamente anche il volo con l'aereo è un volo, ma si è chiusi dentro ad una scatola rumorosa, legati come dei salami e impossibilitati, o quasi, a guardare giù.


Tutti, o quasi tutti, hanno desiderato essere rondine, aquila, gabbiano! Uno dei libri della mia giovinezza al quale sono legata da molti ricordi è "Il Gabbbiano" di Jonathan Livingstone. L'idea della libertà è legata sempre e comunque al sogno di un volo.


A volare come gli uccelli, nel corso della storia dell'umanità, ci hanno provato in molti: dal padre di tutti i voli, Icaro, figlio di Dedalo e di una schiava, Neucrate; al grande Leonardo che alla libertà ha legato tanti suoi progetti.



Il mondo moderno ha raffinato le tecniche, aliante, parapendio, fino alle più sofisticate ali costruite con materiali ultraleggeri che imitano, o quasi, il volo di un uccello.

Il post parla del volo che George ed io abbiamo compiuto con il parapendio a Őludeniz, località di mare immortalata in tutti i manifesti che reclamizzano la Turchia per le sue magnifiche acque trasparenti.

E' tutto vero, il mare è favoloso, costellato da isole e isolotti e chiusa tutt'intorno da montagne che arrivano fino ai 2000 metri. Un vero paradiso in terra, come si usa dire, o così almeno pensavamo mentre da Dalyan studiavamo un itinerario interessante che ci portasse verso la nostra prossima meta: Patara.

Scartato il piccolo villaggio di pescatori di Gőçek, oggi un lussuoso scalo per imbarcazioni da diporto e caicchi a cinque stelle, splendido per il panorama che offre, ma inavvicinabile in quanto a ristoranti, alberghi e pensioni, abbiamo optato per Őludeniz, soprattutto attirati dalle entusiastiche descrizioni della nostra guida.

Pochi chilometri prima di Őludeniz la vista di baie selvagge e deserte da un lato, ci ha fatto rimpiangere di non avere nel bagagliaio dell'auto la tenda, dall'altro, ha aumetato l'entusiasmo e le aspettative che anche Őludeniz ci avrebbe riservato altrettanta bellezza, e già pregustavamo un tuffo nell'acqua turchese e una grigliata in riva al mare. Al nostro arrivo però ci siamo resi immediatamente conto che le cose non stavano esattamente così.

"The crowds the crowds!", "le folle, le folle!" .

L'associazione dello sguardo stralunato accompagnato da un grido allarmato dell'amica neozelandese in visita a Venezia, con quello che si presentava davanti ai nostri occhi fu spontanea. Il lungomare brulicava di gente, una lunga catena di ristoranti, bar, pizzerie, negozi, musica a volume altissimo, gli ombrelloni uno di fianco all'altro non lasciavano dubbi.

Il nostro primo pensiero è stato: scappiamo! In assenza di un piano B, vista l'ora, (le 2 del pomeriggio), la fame e la stanchezza, abbiamo optato per un boccone veloce, una birra e poi via di corsa alla ricerca di un altro posto. Una buona regola (che io e George ci ripetiamo ad ogni viaggio con evidenti scarsi risultati) è quella di leggere dall'inizio alla fine le descrizioni delle località riportate nelle guide turistiche, infatti la nostra poche righe dopo la descrizione del paradiso in terra continuava così:

"... il tutto sarebbe un vero paradiso se non fosse così affollato, in estate, soprattutto di domenica, conviene passare oltre... gli amanti dei campeggi superaffollati e delle discoteche rumorose troveranno pane per i loro denti; tutti gli altri faranno meglio a partire alla scoperta dei dintorni"


Questo è l'antefatto.
Dopo il pranzo, mentre ci stavamo avviando all'auto decisi ad andarcene, uno dei tanti imbonitori che picchettano la strada del lungomare ci propone un giro con il paragliding (il parapendio).

"Non sarebbe male", penso tra me e me, "anzi non sarebbe niente male come regalo per i miei 45 anni!". George, quasi mi avesse letto nel pensiero (e chissà forse è proprio così) dice a mezza voce: "ho sempre desiderato volare!"

"A chi lo dici!" Rispondo prontamente, "almeno un paio di volte all'anno sogno di volare e la sensazione è talmente profonda e bella che molte ore dopo il risveglio mi rimane un senso di leggerezza e di libertà".

Non la faccio lunga dopo mezzo secondo di esitazione ci siamo iscritti al volo delle 18, l'ora migliore perché si gode della luce del tramonto.

Grazie all'intraprendenza dell'imbonitore riusciamo anche a trovare un bungalow "cheap and quiet" immerso in una pineta affacciata sulla laguna, lasciamo giù i nostri bagagli e ci avviamo all'appuntamento con gli istruttori di volo

"Flight with the Gods! Paragliding? You can!"

che ci spiegano per filo e per segno il programma: raggiungeremo con un pick-up la cima di una montagna a 2000 metri, il volo durerà 40 minuti, ognuno di noi avrà un istruttore, fino al momento del lancio si potrà cambiare idea, è tutto sicuro, le attrezzature sono nuove e di alta qualità, gli istruttori preparati etc...

George ed io non li ascoltavamo più, nella nostra testa solo la corsa verso il vuoto che finalmente avrebbe dato corpo ai nostri sogni.



Gli aspiranti al volo erano: una coppia di inglesi di Cambridge, una coppia di Amsterdam, lui Australiano di Sidney, lei finlandese, una ragazza turca, e noi due. Totale: 7 persone. Con noi sono saliti i 7 istruttori, e fa 14, l'autista della camionetta, e siamo a 15, più 4 persone raccolte, non si sa bene a che titolo, lungo la strada e fanno 19, più i parapendii e materiale vario. Il pick-up non ne poteva tenere più di 10!

L'inglese, Brian, che il volo l'aveva già fatto l'anno prima, ci dice che il vero brivido è il viaggio fino in cima alla montagna, e noi ridiamo (incoscienti!) pensando che si tratti del solito sadico umorismo inglese.

Lasciato alle spalle il villaggio di Őludeniz, iniziamo a salire percorrendo una strada sterrata tutta curve e buche. Immersi nella polvere alzata dal pick-up e da quello che esce dal suo tubo di scappamento dopo circa 1 ora arriviamo alla meta visibilmente scossi e a corto di argomenti e battute, che a dire il vero si erano esauriti dopo i primi 20 minuti di viaggio.

Tra me e me penso che la paura di volare è minore del coraggio che dovrei trovare per affrontare nuovamente il viaggio con il pick-up, perciò mi lancerò con il parapendio, costi quel che costi.

Intuisco che il mio pensiero è largamente condiviso dai miei compagni di avventura.

Barcollanti e impolverati, ci guardiamo intorno e vediamo che un altro gruppo è pronto al lancio, e in mezzo a quel nulla ventoso scorgo una piccola baracca con una porta azzurra e una scritta WC. Mi viene da ridere, non sono l'unica ad accorgermene e presto si forma un piccola, silenziosa, ordinata coda.

Dopo pochi minuti gli istruttori ci chiamano per assegnarci ad ognuno di loro. A George gli tocca Psycho a me Alì Babà: bella coppia!

Iniziamo il rito della vestizione: tuta (facoltativa), imbrago, casco e mentre ci stiamo preparando gli istruttori spiegano quello che dovremo fare: al loro segnale dovremmo correre verso il vuoto e quando loro ce lo diranno ci siederemo; durante il volo staremo seduti davanti e loro dietro guideranno il parapendio. All'atterraggio dovremo metterci in piedi pochi secondi prima di toccare terra. Pochi ordini che vanno seguiti con la massima attenzione.

L'adrenalina in corpo mi mette in uno stato che oscilla tra l'euforia e lo stordimento, Alì Babà mi parla e mi guarda preoccupato: It's ok? Yes, yes I'm ready!

Pochi metri davanti a me il precipizio, sento il vento, dietro a noi la tela del parapendio che si gonfia leggermente, nervosa come il motore di un'auto da corsa. Mi volto, George aspetta il suo turno.

Ad un certo punto Alì, mi dice: "Go!", sembra un grido di guerra, io non ho nemmeno il tempo di chiedermi che cosa sto facendo e dopo pochi passi sono già nel vento, sotto di me il mare, gli isolotti, il sole che sta scendendo, la curvatura della terra, tutto sembra così immensamente grande e allo stesso tempo così immensamente piccolo, non sento nulla, mi sembra che il mio stesso corpo sia diventato parte di questo tutto. Sento solo il vento, Alì mi sorride, parla ma io non lo ascolto più, sono così felice che ho la sensazione che tutto questo sarà per sempre.

Mi volto e vedo George anche lui è già aria, vento, cielo, mare...

Ad un certo punto Alì mi chiede se sono pronta per l'estremo, io gli rispondi di sì anche se non mi è chiaro che cosa intende dire: dopo un secondo capisco, il parapendio inizia a volteggiare, lo stomaco mi va dentro alle orecchie, poi si avvicina ad un altro parapendio e iniziano a scherzare, poi di nuovo giù, l'adrenalina mi esce da tutti i pori della pelle, mi sembra di essere come Willy il Coyote. Guardo Alì e gli dico: voglio "rimanere quassù", lui ride e sotto di me la terra si avvicina sempre di più, il piccolo diventa via via più grande: alberi, case,uomini, barche, ombrelloni. "E' già finita", mi dico, ma io mi sento ancora grande come Gulliver, dopo poco sento la terra sotto ai miei piedi. E' finita mi dico, guardo in alto scorgo il parapendio di George, ancora in alto e lo invidio lui è ancora lassù nel vento e nel silenzio.

lunedì 7 luglio 2008

GEORGE SAYS

George says, 'The day we went to Bruny Island was perfect, in mid spring, mostly sunny and with a light breeze. The people queuing in front of the ferry wharf all Australian visitors us excepted, relaxed as only Australians can be on a holiday, never too loquacious nor anxious about children straying a few meters from Mum. As soon as we were on Bruny soil, we took a road heading North and lost sight of the other cars. Driving through a wood a wallaby crossed the road with good timing, taking long aerial steps with its beautiful face turned toward us. No need to press the brake, we were already keeping to a slow pace.

We parked the car near the sea to walk on lonely beaches each one of us taking to different directions looking for shells or fallen trees, but in the end one special place was on top of our goals, and that was the narrow strip of land joining the Northern and the Southern parts of the Island, where two different seas were visible from a small elevation you could walk up to on very comfortable wooden steps. In a place like this elsewhere, in populated countries, there would be numberless cars and coaches parked at the base, but here instead we only met one couple, and a single man sporting an Australian leather hat, with whom we exchanged a few words.

There was a group of teenagers led by a man to the lookout, but I barely noticed them at the time. Looking down to the Western part of the beach we saw among others the prints of little penguins which must have used the beach shrub vegetation as their roosting place at night. Somebody told us that the levels of the two different seas, the Pacific and the Tasmanian, are not at the same level, and thus a rise of the higher water would enact an ecological catastrophe.

Descending the steps we paused sadly in front of the face sculpted in bronze of the last Aboriginal woman, died in 1876 after all her relatives had been killed by the Western 'civilized' intruders.

We drove on moving further South, at one point leaving the main road into dirt roads that passed desolated farms, looking for a fake lighthouse that a Tasmanian friend had built with his own hand as a weekend retreat. We tried different country roads, with the car jumping on the disconnected ground, but it seemed all in vain, the improbable lighthouse not to be seen anywhere. But then, while climbing a slope, we had a glimpse of a small wooden tower on top of the hill. Nick the psychologist recognized the friend who was in our car and introduced himself. He said that the young guests were participant in an anti-establishment symposium. When tea was served, the young took to themselves and let us elders to do the conversation. Nick wanted to lead the way to his lighthouse. First a ground floor hall where I immediately noticed a rough shower. I don't remember if it was Nick himself or the lady who explained that Nick had a female weekend visitor who had complained of the lack of a shower, so he had to comply. But of course, the bedrooms were on the upper levels, and a journey downstairs might have been uncomfortable on a cold day (Ah, gossip!). One of the rooms that occupied the entire area of every level in the tower was filled with a big water tank. The impression of the interior was to me absolutely spartan. Not my cup of tea, as the English say.

I was instead interested in the man's motivations first, and in the process of building the wooden lighthouse single-handedly. If you like challenges in life, you are prone to be curious about these things. Nick had lived a short period of months in contact with the sea, surrounded by the sea, and almost no human around. That would have been a time of reflection for everyone in the situation, and he felt that he had had the experience of his life. When this happens to you, some sort of re-enacting is inevitable, and Nick found his own way of re-enacting by building a lighthouse of his own. On top the unfinished tower I could glimpse the sea in the distance. Not the same from an actual lighthouse. Nick would read my mind. He sensed my objection, and he said, 'The forest around here stands in lieu of the sea.'

Later, leaving the tower for the piazza he had cleared all round the building, Nick answered my questions to how he had proceeded. He showed me the bases of the trunks that act as pillars. He explained how he had excavated holes in the ground and then covered them in heavy bitumen, laid down the trunks with only a few inches of their bottom ends verging on the greased hole. A rope was attached to the top end on one side, while on the other it was tied to the rear of a jeep that provided the pull. He said, the Roman legionnaires of old used several men to do the job. The bottom of the tree trunk would slide into the hole, be steadied there and then go up vertically. Ingenuous indeed. Nick went on explaining similar feats. Three years work during all weekends and festivities. A hard if remunerative job.

Elena and I only interrupted Nick's narration to relieve ourselves of the tea's water in the forest. It was also an excuse to visit the place around Nick's sophisticated summer house. We took a path in the wood, and soon found a friendly tree for each of us, first Elena and a few meter further for myself. I was ready to urinate when I nearly jumped back. I had seen a snake near the tree. Elena came over and saw that the said snake had paws. I knew instantly that I had made myself the object of ridicule for the rest of my days. We went back to Nick's house and told our Aussie friends our meeting with a snake, or serpent. The lady asked Nick, were there snakes in this season? Nick shrugged his shoulders meaning there were plenty. With cameras in their hand two of our friends wanted to have a look at the creature. It was still there, a big lizard bearing the name of Blue-Tongue, toxic but never lethal.

I went inside the wooden-framed caravan all painted over with desert flowers to have some more tea.’

sabato 5 luglio 2008

GAY PRIDE - LONDON 5 LUGLIO 2008



Partecipare al gay pride di Londra e' un'esperienza indimenticabile. Noi ci siamo stati oggi: abbiamo seguito il corteo dai primi momenti in Baker Street e poi lungo Oxford Street e giu' per Regent Street fino all'arrivo a Trafalgar Square. 
La piazza, come in tante altre occasioni e' stato il teatro di una grande festa. A dispetto delle previsioni che davano pioggia, la giornata e' stata splendida. C'erano tutti: associazioni di gay, lesbiche, trans, rappresentanti della Metropolitan Police, del Servizio Sanitario Nazionale, della British Airways, dei bancari, della Ford, del mondo musulmano, dei trekkers della domenica e tanti altri ancora... tra i piu' disparati che nemmeno con la fantasia si puo' immaginare. 

Ancora una volta, Londra da' il meglio di se' stessa, replica in ogni momento la prima sensazione che si ha quando si arriva: liberta'! A Londra ci si sente davvero liberi di esprimere se stessi come si vuole. Di uscire di casa vestiti come capita, di sedersi per terra a leggere un libro, di distendersi in mezzo ad un prato, di cantare in mezzo alla strada...




Il tema di quest'anno era "Fairytales, Myths and Legends" (racconri di fate, miti e leggende) e lo spettacolo e' stato magico, con le Drags Queens e Prince Charmings che hanno fatto la loro parte. 



Londra e' grande e oggi lo si e' visto, il sindaco (Mayor) di Londra era presente anche lui, da semplice cittadino, a piedi, senza scorta e pompa magna! Basta vedere la foto!











Ecco perche' amiamo Londra, per questo stile di vita informale e intriso di tolleranza e bonarieta'.

Peccato che quest'anno sia tormentata da mortali accoltellamenti tra bande rivali di adolescenti, sono gia'  20 i morti e anche oggi i giornali invocano una maggiore prevenzione da parte della Polizia per cercare di fermare questa carneficina e meno concentrazione sul terrorismo che, francamente, ma questa e' una nostra opinione non pare rappresenti un reale pericolo.

Comunque sia, oggi Londra era solo una grande festa che continuera' per tutta la notte a Soho, nell'East End,  in ogni strada e piazza indifferente a chi oggi ha cercato di rovinargliela, come lo sparuto gruppo di fanatici religiosi, predicatori intolleranti che protestavano contro il Gay Pride minacciando l'ira del padreterno sulla testa dei 'peccatori'. Pazienza Londra. Come recitava uno striscione: No Fear in Love.






  

PINARA: UN SITO CHE TOGLIE IL FIATO





Pinara era una delle 6 piu’ importanti citta’ della Federazione Licia, oggi e’ quasi completamente dimenticata e fuori dalle rotte turistiche. Peccato. Cio’ che resta, a parte il teatro e la necropoli non e’ molto ma si e’ completamente ripagati dalla vista mozzafiato della catena montuosa dei Tauri.

Noi l’abbiamo scoperta grazie ad una caldissima giornata che ci ha fatto scappare dalla spiaggia di Patara per cercare sollievo in mezzo alle montagne. Abbiamo aperto la carta geografica e dopo una rapida scorsa alle altimetrie il dito ha puntato senza esitazione su Pinara.

Imboccata la strada principale, un cartello marrone ci ha indicato una strada un po’ piu’ stretta, in mezzo alla campagna. Ecco cosa sorprende della Turchia, basta uscire dalle strade principali per trovarsi nella natura, senza case, strade, macchine, rumori. La strada un po’ alla volta si e’ fatta piu’ stretta e poi sterrata e ha cominciato ad inerpicarsi. Niente paura ci siamo detti, non bisogna scoraggiarsi, semmai usare molta prudenza perche’ le sterratedi montagna non hanno paracarri e la vista degli strapiombi puo’ far tremare le vene dei polsi.

Quando ormai pensavamo (accade sempre cosi’) di aver sbagliato strada e di essere finiti chissa’ dove, un altro cartello ci segnalava che eravamo arrivati!. Distolto lo sguardo, ormai allucinato, dalla strada, ci siamo resi conto che davanti a noi si apriva uno spettacolo meraviglioso.

All’ingresso del sito solo la piccola casa in legno del custode che ci e’ venuto incontro per farci pagare il biglietto di ingresso, e indirazzarci ad una tettoia di frasche sotto cui parcheggiare l’auto. Poi, sommariamente, ci ha suggerito di visitare per prima la necropoli e le tombe dei re, riprendere l’auto e proseguire lungo la strada. Lasciare nuovamente l’auto in un altro parcheggio e visitare il teatro e il poco che resta dell’antica citta’.

Tutto intorno a circa 500 metri di altezza almeno 900 tombe scavate nella roccia, che da lontano ci apparivano come un gigantesco alveare.

Il sentiero che conduce alle tombe dei re e' in mezzo ad un bosco e ci fa pensare che non ci sia intorno un luogo altrettanto bello e intatto come questo. Siamo completamente rapiti dal paesaggio e dalla fragranza che si spande nell'aria: antichi ulivi, pini fragranti, fiori selvatici, una piacevole brezza profumata di timo. Il verde del bosco e' interrotto qual e la' da macchie di oleandri: rosa, bianchi, rossi. Si sentono solo le api e lo scorrere dell'acqua di un piccolo ruscello, per il resto il silenzioso volo di libellule multicolori e di farfalle dalle ali variopinte.

Come osservava un viaggiatore inglese: "Pinara remains undiscovered by most people and so retains its tranquil and mystical atmosphere".

Le tombe sono molto grandi e replicano facciate di case licie, e il sarcofago piu' grande di tutta la Licia si staglia fiero e maestoso su una radura. La Tomba Reale, costruita con dovizia di dettagli, ha in rilievo alcune scene che ritraggono l'antica citta' fortificata. 

L'emozione e' talmente forte che non ci rendiamo conto del tempo che passa. A malincuore ritorniamo all'ingresso, risaliamo in macchina e proseguiamo verso l'anfiteatro. Ci guardiamo intorno cercando il parcheggio che non riusciamo a vedere, e incuriositi dalla strada sterrata che prosegue in salita decidiamo di percorrerla. Ben presto ci rendiamo conto che, come ci era gia' capitato, e' una strada che non porta da nessuna parte. Con tremore e terrore facciamo l'inversione a U e lasciamo l'auto a lato della strada. 

Qualcosa, di quel luogo,  fin dal primo momento ci aveva colpito. Eravamo soli! Ma davvero in questo mondo esistono ancora luoghi senza traccia di esseri umani? Appena detto questo vediamo una macchina percorrere la strada che non porta da nessuna parte e sadicamente io e George diciamo: ecco altri due ingenui!

Il teatro alla base della citta' ha una vista sulle sue stesse rovine. Costruito nel 2 secolo AC poteva ospitare, nelle 27 file di posti a sedere, circa 3.200 spettatori. George ed io lo guardiamo da lontano con un senso di stupore e rispetto per un luogo cosi' importante nell'antichita'. 

All'improvviso ci ritroviamo davanti due turisti, gli stessi che come noi avevano percorso la strada sterrata e che come noi erano ritornati indietro. Una coppia di tedeschi. L'uomo con aria curiosa ci chiede se la strada conduce da qualche parte e alla nostra risposta negativa replica: sara' una strada militare, loro sono famosi per costruire strade che non portano da nessuna parte. Sono simpatici, parliamo a lungo della bellezza del luogo, gli consigliamo altri siti archeologici che lui annota su un piccolo quaderno. Loro ci raccontano il loro viaggio con il catamarano e la decisione di prendere qualche giorno di riposo in terraferma. Poi l'uomo, guardando il teatro ci dice: non perdetevi la meraviglia di sedervi nell'ultima fila proprio sotto a quell'ulivo centenario e godervi lo spettacolo. 





mercoledì 2 luglio 2008

The Baron in the Trees (english version)



Nick is a psychologist. He treats patients affected by gambling syndrome. Before taking up this profession he worked at different jobs, he was a logger, a sales agent, a bartender, a postman, and last but not least a lighthouse guardian. He was employed at a lighthouse on a distant island for a few months only, but it was a time that he treasured in his heart.

The sensation of being there with his head literally in the clouds while scanning the horizon through his binoculars has never left his mind, even though his life has taken a different path, one that makes his feet tread the earth.

Every day Nick has dreamed of his faraway lighthouse, wondering if he could recapture the sense of happy solitude it had given him.

An idea dawned on him. He started taking notes and making sketches in the evenings, to relieve the strain of the days spent with his patients at the clinic. He would use the same drawing instruments from the time of college, and he filled pages with the dream he wanted to act out. He’d work without stint, indifferent to his friends’ sardonic comments.

He wanted to build a lighthouse of his own. He chose the site in a smaller island, not far from the bigger island where he lives and works.

He bought an old jeep car and a nomads’ camper to start with. His son John together with friends decorated the camper with big tropical flowers. Nick used a discarded kitchen appliance motor to build a little water pump. On top the camper he installed a solar panel that was not much bigger than a box of biscuits, in order that he could make tea when he wanted some. Britishness is something you are not going to drop only because you live down under!

Nick used the camper as his builders’ shelter and his summer house for 3 years, the time he took to erect the lighthouse you see in the photo. The tower is 15 metres high, each level a single room, the uppermost level still underway will sport a glass ceiling to observe the night sky with a telescope. To climb the tower there are simple steps to a trap-door on to the next floor. You ought to make sure to shut the trap-door when you’ve made your way into the next level though. Besides, you better not leave something you need behind, since walking the stairs up and down is not that easy. But then – Nick is happy!

To build his tower Nick used some of the gum trees which populate the forest all around him. He has used 50kg nails so far. To lift the tree trunks supporting the exagon structure, he used his jeep as a crane of sorts, for the rest taking example from the Roman engineer legionaries.

Sitting in deck chairs in front of Nick’s lighthouse, while breathing in the bracing smell of eucalypts, George and I were reminded of Calvino’s The Baron in the Trees. 

When we had to leave the place heading for the evening ferry, we had a last glimpse of Nick on roof waving at us. It made us think that the realization of one’s dream  is what happiness is about.